lunedì 4 febbraio 2008

Everybody’s got the right to their dreams…

Una frase che l’addetto alla fermata di Clapham North ha pure selezionato come frase del giorno…

Una frase che sintetizza l’American Dream di un paese in cui tutto o quasi è possibile e in cui ciascuno può realizzare i propri sogni… ma quanto di questa immagine corrisponde al vero? Anche prima di 9/11 evidentemente qualcosa non funzionava negli US of A, se è vero che, per alcuni cittadini di quella America, frustrazione, insoddisfazione e desiderio di ribellione, coniugati in varie forme, sono stati in diversi momenti della storia canalizzati in un gesto estremo incredibilmente “theatrical” e “loud”: l’assassinio (anche solo tentato) di un presidente USA, che non è l’omicidio del singolo, ma il simbolico annientamento di ciò che la sua figura rappresenta, degli squilibri e delle ingiustizie del paese di cui è alla guida, il grido di disperazione di qualcuno che vuole fare sentire la sua voce dal mondo intero.

Questo il tema di fondo che sta dietro ad “Assassins”, tema apparentemente improbabile per un musical, ma che – come in altre opere scaturite dalla mano e dalla mente di Stephen Sondheim – costituisce l’impalcatura per una creazione in cui lo spettatore è chiamato a pensare, a riflettere, ad emozionarsi, condotto per mano dall’autore al cospetto di un gruppo di curiosi personaggi che tuttavia rappresentano, a modo loro, debolezze e fragilità umane universali. Sono le storie di 9 persone che, seguendo ora un impulso omicida, ora un credo politico portato all’esasperazione, hanno provato o sono riusciti a cambiare di fatto la storia del mondo e a provocare grosse dosi di sofferenza. A rendere surreale la situazione è il fatto che nel corso del musical assassini che provengono da momenti storici diversi si incontrano , si parlano ed uniscono le loro voci nel canto (Sondheim anche in questo caso è impareggiabile nella scrittura dei numeri di insieme in cui, in contrappunto, personaggi diversi contribuiscono insieme a raccontare una storia, a completare un puzzle di informazioni…). Ci sono derisione, commiserazione, risate, orgoglio e rabbia miscelati ad abbondanti dosi di humour nero. Ciascuno degli assassini ha una storia che lo rende unico e differente dagli altri, prima di quel punto di arrivo comune, ed è particolarmente d’impatto il pensiero che quel 'finale' leghi insieme le esistenze di un tale mosaico di varia umanità.

WHERE? Landor Theatre, 70 Landor Street, London, SW9 9PH
WHEN? 2nd February, 2008
HOW WAS THE SHOW?

In quel di Clapham North si è appena conclusa la (brevissima!) run di questa produzione di ‘Assassing’ con cui debutta una casa di produzione nuova di zecca (West72nd). L’allestimento, reso particolarmente intimo e inevitabilmente “in-your-face” dall’ambiente di scena, non può certo lasciare indifferenti. Ogni più piccolo dettaglio è a portata d’occhio e di orecchio, e vedersi puntare contro una selva di pistole, anche se props, è un’esperienza curiosa… Dopo un inizio che vede disgraziatamente la (minuscola) orchestra coprire la voce del ‘Proprietor’, lo show decolla e raggiunge una grande intensità interpretativa, soprattutto grazie alle prove di Jeff Nicholson (Guiteau), Graham Weaver (Hinckley), Christopher Ragland (Booth), Nathan Kiley (Balladeer), Kris Webb (Byck) e Jenni Bowden (Sarah Jane Moore), giovani interpreti zeppi di talento che hanno dato vita in scena a quel mosaico di piccoli perdenti con le loro manie, i loro punti deboli e quel pizzico di follia che li ha portati a commettere il gesto estremo.
Qualche piccola perdonabile pecca qua e là - qualche svirgolata negli accenti che d’improvviso abbandonano lo standard American per tradire le origini britanniche di quasi tutto il cast, oppure la necessità di qualche ripetizione di italiano per restituire “senzo” compiuto e “rivavvivare” le parole di Zangara - ma per il resto un allestimento davvero interessante che avrebbe meritato una run più lunga… con una sola, piccola, grande eccezione. Cui dedichiamo la chiusura del post, perché meglio conoscerla… per poterla evitare!


Lei. April Small.
La vera “cagna” su un palco. Quella che piglieresti a roncolate a due per due finché non diventano dispari…
Guardiamola bene in faccia, please, questa attrice che i Bad Idea Bears si sono ormai segnati sulla lista nera e faranno riti voodoo per non ritrovarsela in scena davanti agli occhi in futuro, colei il cui nome da squaw di Piccola Aprile lascia comunque sperare che la sua carriera non vada troppo oltre il maggio inoltrato…
E’ lei nel ruolo di Lynette Gromme che non solo fa emergere a più riprese il suo accento nativo, non solo qua e là ha qualche difettuccio di emissione e quindi i suoni non sono proprio i più piacevoli che si ricordino (e cantando senza amplificazione i nodi vengono presto al pettine), ma non contenta si piglia una serie improbabile di stecche e, giunti al topico momento di ‘Unworthy of your love’ in duetto con Hinckley, mentre lui esegue meravigliosamente la sua parte, zacchete, eccoti lei che cala paurosamente per intere frasi e soprattutto, noncurante del fatto che le sue corde vocali avevano evidentemente montato un sit-in di protesta contro l’ignobile impiego di note al di sopra del DO centrale, quando si arriva alla parte armonizzata, eccola che carica le sue note a palla, così - deve aver pensato - almeno si rovina tutta la magia del brano per benino, magari a sentirla così credono che la stia facendo brutta apposta!?!?

1 commento:

Nerwen ha detto...

OMG, ecco perche' dicevi che ti hanno ucciso Charlie dahlin', >_< meno male che me lo so' perso, va..

Ma chi e' quel genio che lavora per la Transport for London?? *_*