… but you said I should watch for the night to smile.
Sarà che al cioccolato è difficile resistere… ma i vostri orsetti di fiducia sono qui a raccontarvi di una loro ennesima incursione alla Menier Chocolate Factory che, ancora una volta, li ha visti uscire estatici e conquistati da una nuova produzione che già grida “ West End transfer” a gran voce, e non solo perché la run nella intima e piccina venue sulla riva sud del Tamigi è sold-out da un bel po’… WHERE: Menier Chocolate Factory, 53 Southwark Street - London SE1 1RU
WHEN: 31st December, 2008
HOW WAS THE SHOW?
È estate in Svezia, ai primi del ‘900. Una di quelle notti in cui il sole scende basso sull’orizzonte, senza però realmente tramontare mai… e quella luminosità naturale, ovattata sì, ma sufficiente a tenere gli animi svegli mentre la notte si consuma, fa da cornice al racconto basato sul film di Bergman “Smiles of a Summer night”. Perché mai dovrebbe sorridere la notte? Chiede la giovanissima Fredrika alla nonna, Mrs. Armfeldt.
Beh, sorride di fronte alla follia umana: ai giovani, che non sanno nulla… agli sciocchi, che sanno troppo poco… e ai vecchi, che sanno pure troppo.
Anche il pubblico di questa nuova produzione di “A little night music”, con gli occhi attenti a scorgere i sorrisi della notte né più né meno di quelli di Fredrika, viene presto catturato e portato ad osservare le piccole follie umane dalla prospettiva privilegiata della stessa Mme. Armfeldt (Maureen Lipman), il cui rimescolio delle carte da solitario segna un corrispondente rimescolio tra le relazioni fra i personaggi, e del quintetto/coro greco che punteggia il racconto creando le atmosfere e giocando di contrappunto sia musicalmente, sia quanto a riflessioni inserite con apparente casualità tra un verso e l’altro.
Hannah Waddingham ha l’arduo compito di essere Desirée dopo che lo stesso ruolo è stato associato ad un’attrice del calibro di Judi Dench nella produzione del National Theatre del ’95, e supera l’esame... rendendo il confronto improponibile perché disegna, se possibile, un personaggio molto diverso. La sua Desirée è una donna che ha ancora un gran bel pezzo di vita davanti a sé e vuole provare a riscriverne il copione prima che sia troppo tardi… è una mamma affettuosa che cerca e trova in Fredrika una complice giocosa, e una figlia ribelle cui Mme. Artfeld rimprovera qualche scelta non ben ponderata… la sua ‘Send in the clowns’ non ha la stessa intensità drammatica di quella della Dench, ma recupera, come era prevedibile, sul versante della facilità vocale.
Al suo fianco sono molto efficaci i due rivali in amore, Fredrik (Alexander Hanson) e Count Carl-Magnus (Alistair Robbins), ma ancora più degni di menzione sono Gabriel Vick nei panni di Henrik, che rilegge in modo ironico e buffo “Later” senza privare Henrik della intensità e moralità che lo contraddistinguono (e suona meravigliosamente il violoncello!) e Kelly Price, fantastica nel ruolo della Countess Charlotte, cui il libretto affida il compito di muovere i fili che fanno evolvere la situazione interrelazionale e, di fatto, rendono possibile “A weekend in the Country” in cui tutti i personaggi si ritrovano sotto lo stesso tetto.
A fare da contraltare alla sua prova è l’unico vero neo della produzione, ovvero Jessie Buckley nel ruolo di Anne - nota a margine per Sir Mackintosh se per caso ci sta leggendo… ok che durante “I’d do anything” fosse diventata la sua preferita e ok che adesso ci tenesse tanto a darle una spintarella, ma insomma… al prossimo casting, magari, siamo più obiettivi, d’accordo? Vero, fare la ragazzina foolish le viene incredibilmente naturale, ma la parte di Anne è troppo acuta per la sua tessitura. E puh-lease… qualcuno provi a toglierle una briciola dell’accento regionale che si porta dietro! Al confronto, Grace Link, la giovanissima interprete del ruolo di Fredrika fa il figurone di una navigata professionista…
Ancora una nota di merito va al “personale di servizio” di casa Egerman e Artfeld, alla Petra di Kaisa Hammerlund, che si merita un sonoro applauso al termine di “The miller’s son” con la quale riempie da sola la scena e a Jeremy Finch, Frid, cui spetta il compito di riesumare dallo score quella “Silly people” cancellata ai tempi della produzione on Broadway.
Last but oh so not least… ancora una volta l’orchestrazione originale di Sondheim, alleggerita e riarrangiata su scala “da camera” per la Menier, ad opera di Jason Carr è un gioiello, e consente di apprezzare quanto le liriche siano ricche e “subtle”, anche nelle parti di insieme e nei numerosi interventi del “coro greco”.
Insomma… diteci quando e dove si trasferisce, che noi orsetti prenotiamo già d’ufficio per un paio di repliche… maybe next year?